Gli squali vivono sulla Terra da più di 400 milioni di anni e, nel corso dei millenni, non hanno potuto far altro che adottare e sviluppare diverse strategie riproduttive per sopravvivere e portare avanti la specie. Gli squali sono animali a sessi separati, ovvero possono essere o maschi o femmine: i maschi, a differenza delle femmine, presentano due prolungamenti delle pinne pelviche chiamati pterigopodi, emi-peni che vengono utilizzati per trasferire gli spermatozoi all’interno della femmina. La fecondazione è sempre interna e avviene grazie all’incontro e all’atto riproduttivo dei due sessi. Sono comunque stati osservati casi di ermafroditismo, seppur molto rari e legati a mutazioni genetiche. Gli squali presentano tre tipi di riproduzione: l’oviparità, l’ovoviviparità e la viviparità.
La maggior parte degli squali è ovipara e il piccolo si sviluppa all’interno di un uovo coriaceo, chiamato anche “borsellino delle sirene” che viene deposto sul fondo. Le uova possono avere forme e dimensioni diverse e possiedono alle estremità dei filamenti con cui si attaccano alle gorgonie o ad altri oggetti sommersi. Le uova possiedono una grande quantità di tuorlo contenuto all’interno di un sacco vitellino attaccato all’addome del piccolo che gli fornisce l’energia necessaria allo sviluppo. Durante la crescita, il sacco scompare rapidamente e, al momento della fuoriuscita dall’uovo, il piccolo è del tutto sviluppato e avrà occhi e coda proporzionalmente più grandi rispetto all’adulto. Gli squali che adottano l’oviparità per riprodursi sono in genere squali che vivono a stretto contatto col fondo e di piccola o media dimensione come il gattuccio, il gattopardo, lo squalo zebra e lo squalo di Portjackson.
L’ovoviviparità, invece, prevede che le uova vengano trattenute all’interno del corpo della madre per fornirgli maggiore protezione. Una volta che il piccolo avrà completato il suo sviluppo all’interno dell’uovo, uscirà completamente formato dal corpo della madre. Questa strategia è adottata, ad esempio, dallo squalo bianco, dal mako, dallo squalo toro, dallo squalo volpe, dallo squalo elefante, dallo squalo tigre e dallo squalo balena. Ci sono casi però in cui il piccolo, una volta consumato il contenuto dell’uovo, si nutre delle altre uova non fecondate e, in tal caso, i nascituri saranno pochi e di dimensioni notevoli: questa strategia è chiamata oofagia ed è presente, ad esempio, nello squalo bianco. Esistono anche casi di cannibalismo intrauterino (o adelfofagia) in cui, una volta che il piccolo ha terminato il contenuto dell’uovo, non solo si nutre delle altre uova non fecondate, ma anche degli altri fratelli e sorelle in via di sviluppo. Alla fine, nascerà un solo piccolo, il più forte: questa strategia è tipica dello squalo toro che partorisce solo due piccoli alla volta presenti nei due uteri materni.
La viviparità, infine, prevede l’assenza dell’uovo e la presenza di una placenta funzionalmente simile a quella dei mammiferi da cui il piccolo ricava le sostanze nutritive. Al momento della nascita, i piccoli, come per gli altri due tipi di riproduzione, sono del tutto formati. Questa strategia è tipica, ad esempio, degli squali grigi, della verdesca, dello squalo limone, dello squalo pinna nera, degli squali martello e dello squalo leuca.
Esiste in realtà un’ulteriore modalità di riproduzione fra gli squali, sebbene molto rara: la partenogenesi, ovvero lo sviluppo di un uovo senza fecondazione da parte degli spermatozoi. Un esempio è rappresentato dallo squalo martello dal berretto: una femmina, che viveva in acquario con altre due femmine della stessa specie e in assenza di maschi, ha dato alla luce un piccolo dopo tre anni. Sebbene fosse possibile che la femmina avesse trattenuto lo sperma di un accoppiamento con un maschio avvenuto prima della sua cattura, il DNA dello squalo neonato è risultato simile a quello di una delle femmine presenti in acquario, senza evidenze di DNA maschile!