Come ogni estate gli avvistamenti di squali lungo le coste italiane, soprattutto di mako e verdesche, hanno allarmato migliaia di turisti pronti per la stagione balneare. Molte sono le domande che si pongono i bagnanti: ci sono squali nel Mediterraneo? Perché si avvicinano alla costa? Sono pericolosi per l’uomo? Come dobbiamo comportarci?
Nel Mediterraneo, bacino di incredibile biodiversità, è stata riconosciuta la presenza di 48 specie di squali, tra cui il mako e la verdesca. Non ci deve quindi stupire la possibilità, seppur remota, di poter incontrare questi pesci nel loro ambiente naturale che è il mare.
Molte specie di squali vivono lungo costa o possono avvicinarsi alla costa: mako e verdesche, di base, sono specie pelagiche che vivono in mare aperto ma possono anche addentrarsi in fondali più bassi. L’avvicinamento sempre più frequente di questi pesci alla riva è legato alle attività di pesca industriale sempre più intensive che stanno depauperando i fonda
li di risorse ittiche di cui si nutrono gli squali, lasciandoli così affamati e senza cibo. Gli squali, di conseguenza, non trovando più cibo sotto costa, si spingono sino a riva o alle foci dei fiumi. La pesca sportiva, allo stesso tempo, sempre più in voga lungo le nostre coste, prevede che vengano calate in acqua delle esche e che si pasturi, attirando così l’attenzione degli squali. Sia il mako che la verdesca sono specie annoverate nella lista rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) per il Mediterraneo come “critically endangered”, ovvero a rischio critico di estinzione ed è assolutamente vietata la pesca di entrambe le specie: il mako è una specie protetta dalla Convenzione Internazionale sul Commercio delle Specie di Fauna e Flora Minacciate di Estinzione (CITES), mentre la verdesca è tutelata dalla legge del 9 gennaio 2012 (Misure per il riassetto della normativa in materia di pesca e acquacoltura, a norma dell’articolo 28 della legge 4 giugno 2010, n. 96) che pone il divieto di detenere, sbarcare, trasportare e commercializzare le specie di cui sia vietata la cattura in qualunque stadio di crescita, con pene e contravvenzioni che implicano l’arresto da due mesi a due anni o l’ammenda da 2.000 a 12.000 euro.
Gli squali, essendo predatori all’apice della catena alimentare marina, rivestono un ruolo fondamentale nella strutturazione e nel mantenimento degli equilibri ecosistemi marini, oltre ad esserne indicatori dello stato di salute. Delle circa 540 specie di squali ad oggi conosciute, solo cinque sono potenzialmente pericolose per l’uomo (squalo bianco, squalo tigre, longimano, squalo leuca e squalo martello maggiore), ovvero meno dell’1%. Ogni anno e in media, gli squali uccidono 8/10 persone in tutto il mondo, mentre l’essere umano uccide, ogni anno e in media, 100 milioni di squali, soprattutto grazie alla cruenta pratica dello shark finning, ovvero il taglio delle pinne degli squali per la produzione della shakfin soup tanto amata nei paesi asiatici.
Questi predatori non sono i “mostri dei mari” descritti dai film di Spielberg, ma semplici pesci che, per sopravvivere, cacciano e si nutrono nel loro ambiente naturale. Se li dovessimo incontrare, cerchiamo di fare meno movimenti possibili per evitare di attirare la loro attenzione e di comportarci da potenziali prede; restiamo verticali in acqua per sembrare più grandi e meno vulnerabili ai loro occhi e, se dovessero avvicinarsi troppo, respingiamoli delicatamente dal muso che è il loro punto debole. In caso di avvistamento in barca o spiaggiamento, è necessario chiamare sempre la guardia costiera o le autorità competenti per segnalarne la posizione. È bene che i “non addetti ai lavori” non intervengano in quanto molte specie, soprattutto quelle protette, potrebbero venir danneggiate anziché aiutate e, potenzialmente, ferire il loro soccorritore.