Non è bastata la filmografia de “lo squalo” di Steven Spielberg negli anni ‘70 a incutere il terrore per questi pesci nelle menti umane. Negli anni successivi tanti altri film hanno delineato la figura dello squalo come un vero e proprio divoratore di esseri umani, una macchina da guerra che, in ogni istante, si aggira continuamente attorno a surfisti, bagnanti e imbarcazioni, pronta a tranciare arti umani e a inghiottire yacht di decine di metri in un sol boccone. Questa volta, il regista Jaume Collet-serra ha ingaggiato la famosissima attrice di Hollywood Blake Lively, nota per la serie telesiva “Gossip Girl”, per mettere a punto l’ennesimo film horror basato su questi poveri squali. “Paradise Beach”, così si intitola la nuova pellicola del 2016. Un titolo che dovrebbe far pensare a una spiaggia esotica, paradisiaca, dalle acque cristalline e che, invece, cela sotto sotto l’incubo di una surfista alle prese con un grande squalo bianco. “Nancy (Blake Lively) sta facendo surf da sola di fronte a una spiaggia isolata quando viene attaccata da un grande squalo bianco che le impedisce di tornare a riva. Anche se solo 200 metri la separano dalla salvezza, dovrà mettere in gioco tutta la sua forza di volontà per sopravvivere”. Un trama che, a primo impatto, potrebbe forse sembrare realistica è stata invece deturpata da tutta una serie di errori commessi dal regista: “schiaffare”, e passatemi il termine, uno squalo bianco ai tropici sulla barriera corallina è alquanto surreale in quanto è un pesce che vive in acque fredde e temperate. Nel film, la surfista viene attaccata per aver invaso il territorio di caccia del grande squalo bianco, impegnato in quel momento a nutrirsi di una carcassa di balena. Surreale, in primis, come uno squalo preferisca un essere umano a una balena ben più calorica e altrettanto surreale, in secondo luogo, come un bianco possa ribaltare una balena morta adulta facendola balzare in aria come fosse un palloncino leggiadro o una piuma, solo allo scopo di far cadere dalla carcassa Nancy che, nel frattempo, avvistato lo squalo, vi si era rifugiata sopra.
Premetto che gli squali bianchi, essendo pesci, non hanno l’intelligenza di un mammifero marino come ad esempio l’orca, la quale è in grado di escogitare strategie di caccia in branco e di tendere trappole organizzate con i suoi conspecifici per sferrare agguati e uccidere le proprie prede. Non parliamo poi delle dimensioni del bianco, sui 10-15 metri, direi quasi epocali in questo film e non dimentichiamo la scena divertentissima in cui lo squalo attacca i coralli di fuoco e l’intera barriera per afferrare Nancy che, guarda caso, ha nel frattempo trovato rifugio su uno scoglio isolato in mare, distante 200 metri dalla sua salvezza, la riva. Ma Nancy, in quel momento, non era sola bensì accompagnata da altri due ragazzi surfisti: uno dei due è magicamente soggetto al breach (al salto) dello squalo praticamente a riva (e spiegatemi quindi dove lo squalo abbia la profondità necessaria per effettuare un salto di 3 metri fuori dall’acqua), l’altro, nuotando sino allo stremo delle forze verso lo scoglietto dove si trova la surfista, viene tirato giù e divorato intero dallo squalo nell’arco di un secondo. Per terminare con le idiozie di questo film, il grande squalo bianco è stato in grado di fare a pezzi un fanale di acciaio alto almeno tre metri in mezzo al mare e, dulcis in fundo, è morto schiantandosi sul fondale in mezzo ai ferri acuminati delle ancore che sostenevano il fanale, come se non avesse le ampolle di Lorenzini e la linea laterale per avvertire ostacoli nei paraggi.
Detto ciò aspetto con ansia il prossimo film “alla Spielberg” e vi invito a vedervi invece “Sharkwater”, un film/documentario che mette ben in evidenza la vera natura degli squali, pesci a rischio di estinzione e continuamente minacciati dalle attività antropiche e di inquinamento. Tutelarli e sensibilizzare le menti umane alla conservazione di questi animali è l’unico modo di proteggere non solo l’intero ecosistema marino, essendo gli squali ai vertici delle catene alimentari, ma anche e soprattutto l’essere umano.
“Paradise beach” e squali: dentro l’incubo delle idiozie
Taggato in: bianco, blake lively, Mare, onda, paradise beach, scoglio, spiaggia, squalo, surfista, tavola da surf