L’invaso, allagato grazie alla costruzione di una diga, è nato nella prima metà del ‘900 per esigenze esclusivamente agricole. Il fiume originario scorreva ben otto metri al di sotto dell’attuale superficie del lago. Per alimentare le pompe di forzatura dell’acqua e spingerla verso le vasche di raccolta sulle montagne, è stata realizzata una centrale idroelettrica adibita esclusivamente all’autoalimentazione delle pompe di forzatura. Nel 2006, a causa di un blackout che colpì l’intera area, tutte le centrali idroelettriche della zona fecero riferimento all’ENEL per le operazioni di aggiornamento, ma solo alcune di esse furono selezionate dalla compagnia elettrica e costrette a vendere il surplus energetico all’ENEL stessa.
L’invaso idrico di Capodacqua, definito anche l’Atlantide d’Abruzzo, si trova nel Parco Nazionale del Gran Sasso, nei pressi del paese di Capestrano, in provincia de L’Aquila.
Ancora oggi l’invaso è destinato all’agricoltura e l’acqua proviene dal complesso montuoso del Gran Sasso, dove scorre per 7 km in ambiente carsico e fuoriesce alla medesima temperatura d’origine (circa 9 gradi). È stato registrato un solo episodio di innalzamento della temperatura il 5 aprile del 2009, il giorno prima del funesto terremoto che colpì L’Aquila, dove nel lago si registrarono temperature comprese tra i 14 e i 16 gradi, legate ai riscaldamenti sismici della crosta terrestre al di sotto del Gran Sasso.
Con la creazione dell’invaso di Capodacqua sono stati sommersi due mulini risalenti al Medioevo che hanno reso il lago accessibile alle attività subacquee regolamentate dal Diving Center Atlantide, unico gestore dell’area. Il primo mulino che si incontra durante l’immersione è ad asse orizzontale ed è in pessimo stato di conservazione, in quanto la sorgente presente accanto genera una corrente di 6.000 litri al minuto che corrode di continuo la struttura. Continuando il percorso, si incontra il secondo mulino ad asse verticale, gli archi di deflusso dell’acqua e la stanza delle macine. Il complesso, un rudere di 400 mq di superficie, è stato danneggiato dalle attività sismiche e dalle attività di subacquei non autorizzati: questi ultimi, passando e urtando di continuo sotto l’antica porta, sostenuta da una trave in legno ormai pietrificata, hanno provocato, nel tempo, la frana dell’intera struttura. Durante il ritorno, lungo l’antico canale del fiume, è possibile imbattersi in un folto prato di felci e sedano subacqueo; è consigliabile e necessario non nuotare mai troppo vicino al fondo del lago, dove giace un rigoglioso tappetto di fiori che hanno resistito, a causa delle temperature dell’acqua molto rigide, alla loro decomposizione; sfiorare anche solo con una pinna il manto floreale significherebbe rendere immediatamente torbida l’acqua. Il fascino di quest’area è godersi l’immersione immaginando di trovarsi, in assenza di gravità, nel periodo medievale di Capodacqua.
La fauna ittica del posto era un tempo costituita dalle trote fario, impiantate per le attività di pesca consentite solo ai residenti di Capestrano; dopo diversi anni di mancato rispetto delle leggi allora in atto, si è deciso, nel 2006, di inserire nel lago i lucci, predatori formidabili. In breve tempo, le trote sono dimezzate ed è iniziata, di conseguenza, la pesca al luccio. L’ultimo luccio pescato nel lago pochi anni fa pesava ben 12.5 kg e superava il metro di lunghezza! Folaghe, tabaccaie e altri uccelli del luogo, a causa dei ripetuti attacchi da parte dei lucci, continuano a migrare d’estate (periodo di massima attività di caccia del luccio) e a tornare al lago solo d’inverno (quando i lucci si limitano a cacciare dalle loro tane).
Dal punto di vista storico, a Capestrano sono stati rinvenuti disegni neolitici, un anfiteatro romano, il famoso guerriero italico di Capestrano, una tomba di un guerriero armato risalente sempre alla medesima epoca e, accanto alla chiesa di San Pietro ad Oratorium, una tavoletta raffigurante simboli, simile al quadrato magico dei Templari. Nel Medioevo a Capestrano passava la linea di confine che, congiunta ad altre piccole comunità montane, raggiungendo il Mare Adriatico, divideva lo Stato Pontificio dal Regno Borbonico. Celestino V, Papa della Grande Rinuncia, conoscendo l’attività bellica della zona, per attenuare la tensione tra la Chiesa e i Borboni, chiese all’esercito templare la realizzazione di chiese campali (come la Chiesa di Bussi del 1100 d.C.) e di mercati locali, al solo scopo di creare aree di intrattenimento e di scambio di prodotti dove i cittadini delle fazioni nemiche potessero incontrarsi pacificamente. La valle di Capestrano, ricca di storia fino all’era dell’Industrializzazione, vive oggi la sua desertificazione.