Big Four
Gli squali sono stati etichettati sin dai tempi antichi come assassini dei mari; addirittura nell’antica Grecia Erodoto gli diede l’appellativo di Ketè (mostro marino), terminologia dalla quale deriva anche il nome “Cetaceo”. Fu Steven Spielberg che nel 1975 con l’uscita del film “Lo Squalo” creò definitivamente l’immagine di terrore che questo pesce ha nella nostra immaginazione: un thriller basato sull’omonimo romanzo di Peter Benchley del 1973 ispirato ad alcuni attacchi di squalo avvenuti nel New Jersey nel luglio del 1916, dove persero la vita 14 perone in poco meno di due settimane. La filmografia e i racconti del passato non devono però scoraggiarci, in quanto numerose specie di squalo attualmente sono a rischio di estinzione. La perdita di top predator all’apice della catena alimentare del mare comporterebbe seri danni a tutto l’ecosistema creando, mediante un effetto a catena, l’aumento delle prede degli squali e, di conseguenza, la diminuzione degli organismi inferiori nella rete trofica. Nonostante la pesca sportiva e commerciale siano le maggiori cause di estinzione delle varie specie di squalo, anche i popoli orientali nel corso dei secoli hanno contribuito a questo disastro attraverso la vendita e il taglio delle pinne di questi pesci (il cosidettò finning), utilizzate in cucina nei paesi asiatici per la preparazione della zuppa di pinne di pescecane, un piatto che secondo queste popolazioni è afrodisiaco e che può arrivare a costare anche 100 dollari a porzione.
Fortunatamente, dagli inizi del XXI Secolo, la tutela e la salvaguardia degli squali è aumentata notevolmente grazie alla CITES (Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione) che ha vietato il commercio di alcune specie e alla IUCN che ha annoverato nelle sue liste molti di questi animali come specie a rischio di estinzione. Uno dei luoghi dove la salvaguardia degli squali è all’ordine del giorno è il Sud Africa, dove l’isola di Seal Island, davanti Cape Town, e la riserva naturale di Dyer island, davanti la cittadina di Gansbaai, ospitano una popolazione di 500-1000 individui di squali bianchi.
Lo Squalo Bianco
Carcharodon carcharias, oltre a essere un predatore assai grande, è anche assai furbo riuscendo a mimetizzarsi in mare grazie alla presenza di una colorazione grigio scura sul dorso e bianca sul ventre che lo rendono criptico con la superficie e il fondale del mare. E’ una vera e propria macchina da guerra diffusa in tutto il mondo marino, costiero e pelagico, dalle aree temperate alle temperato-fredde, tra i 60 gradi nord e sud. Il comportamento del bianco è di sicuro l’aspetto più interessante da considerare: esistono infatti sia delle segregazioni dimensionali che sessuali. Gli squali bianchi del Sud Africa, ad esempio, si nutrono essenzialmente di pesci, crostacei, echinodermi, molluschi, uccelli ma anche di otarie del Capo, effettuando a volte scavenging (comportandosi da spazzini) sulle carcasse di animali e, nella zona di Gansbaii e di Dyer island, a circa 200 km da Città del Capo, gli esemplari sono prevalentemente giovani, compresi tra i 2 e massimo i 5 metri di lunghezza. Gli individui immaturi sfruttano questa area a grande biodiversità per passare da una dieta ittiofaga, tipica dei giovani esemplari, ad una basata sui pinnipedi del Capo, tipica degli adulti per il maggior apporto calorico ricavato. Tuttavia, gli studi etologici diretti sono limitati al momento della predazione, sia perché è complicato seguire un animale in grado di compiere lunghe migrazioni sia per la tendenza antropocentrica di studiare gli unici momenti in cui lo squalo viene a contatto con l’uomo.
A questo si aggiunge l’estrema difficoltà nel tenere un esemplare di squalo bianco in cattività. Ad oggi esistono due modelli di studio: il primo basato sul comportamento d’attacco di superficie di prede naturali e il secondo sul comportamento d’attacco di superficie di prede passive. Nell’attacco di prede naturali, i moduli comportamentali più usati per afferrare la preda sono: l’uscita parziale o totale fuori dall’acqua con una postura verticale perpendicolare alla superficie (breach); l’uscita con un angolo tra 0° e 45° rispetto alla superficie; l’uscita con un angolo sempre tra 0° e 45° rispetto alla superficie ma con torsione del capo se lo squalo manca la preda e l’uscita dall’acqua capovolto a pancia all’aria, sempre con un angolo tra 0° e 45° rispetto alla superficie. Nel caso di studi comportamentali di attacco a prede passive, le fasi funzionali si dividono in: moduli di pre-attacco o curiosità e di attacco o aggressività, includendo anche gli istanti che precedono l’attacco stesso. I moduli comportamentali si distinguono in comportamenti individuali, quando effettuati da un singolo animale, e sociali, se sono il risultato dell’interazione tra due o più individui. Osservando, ad esempio, il comportamento di uno squalo bianco davanti ad una carcassa di balena, possiamo comprendere come non sia un pesce poco perspicace e violento, ma un animale dotato di interazioni complesse con i propri conspecifici, con i quali forma temporanee strutture sociali, gerarchie basate sulla taglia e sul temperamento dei singoli individui per l’accesso alla preda. Le scelta delle strategie di attacco del grande squalo bianco dipende dal sesso e/o dal grado di maturià. Certamente dal punto di vista etologico, la messa in pratica dei comportamenti predatori e degli attacchi è basata su una determinata gerarchia sociale legata alla dominanza di uno squalo sull’altro, alla dimensione dell’animale e all’esperienza stessa del pesce e, spesso, c’è un preciso iter nell’applicazione dei processi etologici, dove un atteggiamento può di preferenza precedere o succederne un altro.
In questi mari incontriamo anche altri predatori che convivono con il grande squalo bianco come il mako (Isurus oxyrhincus), la verdesca (Prionace glauca) e il manzo (Notorhyncus cepedianus).
Lo Squalo Mako
Il mako, parente stretto del grande squalo bianco, sfrutta la sua bruciante accelerazione per catturare prede veloci come tonni e pesce azzurro ed è in grado anch’esso di saltare fuori dall’acqua (breach) per cacciare. Essendo un grande nuotatore, la pinna caudale è quasi simmetrica, le pinne pettorali sono piccole per diminuire l’attrito e la dorsale è rigida per stabilizzare l’assetto. Come tutti i lamnidi, la rete mirabilis consente a questo predatore di avere una temperatura corporea superiore a quella dell’ambiente circostante (fino a 15°C) dandogli una maggior potenza e una migliore resistenza. Le femmine, in genere, raggiungono lunghezze superiori ai 3 metri, mentre i maschi sono decisamente più piccoli.
La Verdesca
Al largo delle coste del Sud Africa, insieme al mako, è presente anche un’altra specie, la verdesca, uno squalo epipelagico che predilige acque abbastanza fredde, è migratoria e si sposta spesso in branco, segregando per dimensione e sesso. Nei mari temperati è possibile osservarla sotto costa, mentre in acque tropicali occupa profondità maggiori e le osservazioni nell’Atlantico hanno individuato cicli migratori in senso orario che seguono le correnti principali. Raggiunge anche dimensioni di 4 metri e, purtroppo, è oggetto di pesca da parte dell’essere umano: si stima che vengano uccisi ogni anno dai 10 ai 20 milioni di squali e la loro carne venga consumata fresca, essiccata, affumicata, sotto sale e per la produzione di farina di pesce. La pelle, infine, viene sfruttata per la produzione di cuoio, per la zuppa di pinne e il fegato per ricavarne l’olio. La Food and Drug Administration degli Stati Uniti ha inserito la carne della verdesca tra quelle che bambini e donne incinte dovrebbero evitare di mangiare per i rischi legati alle intossicazioni da mercurio e da altri metalli pesanti.
Lo Squalo Manzo
Infine, a dominare le foreste di Kelp in Sud Africa, troviamo il “seven gills” o squalo manzo (Notorhyncus cepedianus). Unico esemplare esistente del genere Notorhyncus della famiglia degli Esanchidi, si riconosce facilmente per la presenza di 7 fessure branchiali. La sua livrea grigia-marroncina ricoperta di macchie gli consente di confondersi tra le foreste di alghe brune dove si nutre di altri squali, razze, pesci, foche e carogne grazie alle cuspidi dentellate dei denti della mascella superiore e alle cuspidi fogliate di quella inferiore.